lunedì 3 ottobre 2016

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Il Tribunale Apostolico della Rota Romana ha pubblicato il “Sussidio applicativo del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (15 Agosto 2015)” sulla riforma delle cause di nullità ed entrato in vigore l’8 Dicembre 2015. È un aiuto dettagliato per l’applicazione della riforma.
Il Sussidio applicativo ha una premessa che interessa particolarmente l’Italia, perché nel nostro paese, la materia dei tribunali delle nullità era regolata dal M.P. Qua cura dell’8.12. 1938 di Papa Pio XI, con il quale si istituivano i Tribunali regionali. La C.E.I. ha pubblicato il 5.11.1990 il Decreto generale sul matrimonio e in attuazione degli artt. 57 e 58 ha emanato norme circa il “Regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici regionali” (XLI Assemblea generale 6-10 Maggio 1996); in seguito ha proposto uno schema di regolamento (19.12.1997) che ciascun Tribunale regionale ha adottato.
Resta evidente che la prossima assemblea generale della CEI dovrà discutere di un vero e proprio Vademecum per garantire organizzazione e uniformità nelle procedure dovute alla riforma, con particolare riguardo all’indagine pastorale prima dell’introduzione di una eventuale causa di nullità

Le novità della riforma

La riforma si prefigge lo scopo di aiutare i coniugi separati a verificare se il matrimonio celebrato è stato nullo. Per questo motivo sono proposte tre azioni:
  • Centralità del Vescovo di ogni Diocesi che, oltre che essere pastore, è anche giudice
  • La riforma dell’organizzazione dei Tribunali per le nullità
  • L’introduzione del processo brevior in particolari circostanze facente capo direttamente al Vescovo.
a) Il Vescovo è chiamato a svolgere la funzione di giudice: lo farà direttamente nel processo brevior e assicurerà comunque un accesso più facile dei fedeli alla giustizia.
Sarà costituito un ufficio diocesano, affidato a persone idonee, con il compito di effettuare un’ indagine utile a raccogliere elementi per una eventuale introduzione del processo giudiziale. L’indagine si chiude con la stesura della domanda e/o del libello da presentare al competente giudice.
Il Vescovo “deve” procedere all’erezione del tribunale diocesano per le nullità: se esiste un Tribunale diocesano allargherà le competenze alla cause matrimoniali. Se non è possibile costituire nell’immediato un proprio Tribunale, il Vescovo può accedere per le cause ordinarie a un Tribunale vicino.
Nel processo breviore invece, se esiste un Vicario giudiziale sarà quest’ultimo a visionare la domanda. Se il Vicario giudiziale non c’è, il Vescovo potrà affiancarsi una persona qualificata (meglio se chierico) che possa assisterlo nella scelta tra processo breviore e processo ordinario. Se il Vescovo non ha una persona qualificata, potrà chiedere l’aiuto a una Diocesi vicina. Nell’ipotesi estrema di non avere nessuno può affidare la causa a un Tribunale vicino, per poi giudicare la causa, se è ammesso il processo brevior.
b) Da queste disposizioni cambia l’assetto struttura dei tribunali delle nullità che, a questo punto, diventano: Tribunali diocesani, tribunali interdiocesani, tribunali della metropolia, Rota Romana.
Per comprendere che cosa avverrà in Italia, occorrerà attendere il Vademecum della C.E.I. Infatti i problemi sono molteplici, non ultima la questione economica dei tribunali che, attualmente è a carico della Conferenza episcopale.
c) Da tener presente che è stata soppressa la sentenza doppia conforme, per cui non è necessaria una duplice sentenza affermativa per la nullità e che l’appello contro la sentenza può essere introdotto o presso il Tribunale della Metropolia o presso la Rota Romana. È espressamente detto che le cause di nullità siano gratuite (fin quanto possibile aggiunge il sussidio).
In questa brevissima sintesi, da non dimenticare le condizioni che sono previste nel processo brevior. La prima condizione è che la domanda sia posta direttamente al Vescovo da ambedue i coniugi o da uno di essi con il consenso dell’altro. Tra le circostanze di fatti e di persone che rendono manifesta la nullità sono enumerati, a modo esemplificativo (non esaustivo): mancanza di fede, brevità della convivenza coniugale, aborto procurato, permanenza di una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o immediatamente successivo, occultamento doloso della sterilità, causa del matrimonio estranea alla vita coniugale o per una gravidanza imprevista, violenza fisica, mancanza di uso di ragione.

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LETTERA APOSTOLICA 
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
DEL SOMMO PONTEFICE 
FRANCESCO
CON LA QUALE VENGONO MUTATE
ALCUNE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

A motivo della costante sollecitudine per la concordanza tra i Codici, mi sono reso conto di alcuni punti non in perfetta armonia tra le norme del Codice di Diritto Canonico e quelle del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
I due Codici possiedono, da una parte, norme comuni, e, dall’altra, peculiarità proprie, che li rendono vicendevolmente autonomi. È tuttavia necessario che anche nelle norme peculiari vi sia sufficiente concordanza. Infatti le discrepanze inciderebbero negativamente sulla prassi pastorale, specialmente nei casi in cui devono essere regolati rapporti tra soggetti appartenenti rispettivamente alla Chiesa latina e a una Chiesa orientale.
Ciò si verifica in modo particolare ai nostri giorni, nei quali la mobilità della popolazione ha determinato la presenza di un notevole numero di fedeli orientali in territori latini. Questa nuova situazione genera molteplici questioni pastorali e giuridiche, le quali richiedono di essere risolte con norme appropriate. Occorre ricordare che i fedeli orientali hanno l’obbligo di osservare il proprio rito ovunque essi si trovino (cfr CCEO can. 40 § 3; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Orientalium Ecclesiarum, 6) e, di conseguenza, l’autorità ecclesiastica competente ha la grave responsabilità di offrire loro i mezzi adeguati perché possano adempiere tale obbligo (cfr CCEO can. 193 § 1; CIC can. 383 §§ 1-2; Esort. ap. postsin. Pastores gregis, 72). L’armonizzazione normativa è certamente uno dei mezzi che gioverà a promuovere lo sviluppo dei venerabili riti orientali (cfr CCEO can. 39), permettendo alle Chiese sui iuris di agire pastoralmente nel modo più efficace.
Bisogna tuttavia tenere presente la necessità di riconoscere le particolarità disciplinari del contesto territoriale in cui avvengono i rapporti inter-ecclesiali. Nell’Occidente, prevalentemente latino, occorre trovare un giusto equilibrio tra la tutela del Diritto proprio della minoranza orientale e il rispetto della storica tradizione canonica della maggioranza latina, in modo da evitare indebite interferenze e conflitti e promuovere la proficua collaborazione tra tutte le comunità cattoliche presenti in un dato territorio.
Un ulteriore motivo per integrare la normativa del CIC con esplicite disposizioni parallele a quelle esistenti nel CCEO è l’esigenza di meglio determinare i rapporti con i fedeli appartenenti alle Chiese orientali non cattoliche, ora presenti in numero più rilevante nei territori latini.
Si deve infine rilevare che anche la dottrina canonica ha fatto notare alcune discrepanze tra i due Codici, indicando, con sostanziale convergenza, quali fossero i punti problematici e come renderli concordi.
L’obiettivo delle norme introdotte con il presente Motu Proprio è quello di raggiungere una disciplina concorde che offra certezza nel modo di agire pastorale nei casi concreti.
Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, per mezzo di una Commissione di esperti in Diritto canonico orientale e latino, ha identificato le questioni principalmente bisognose di adeguamento normativo, elaborando un testo inviato a una trentina di Consultori ed esperti in tutto il mondo, nonché alle Autorità degli Ordinariati latini per gli orientali. Dopo il vaglio delle osservazioni pervenute, la Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha approvato un nuovo testo.
Tutto ciò considerato, dispongo ora quanto segue:
Art. 1. Il can. 111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§1 Con la ricezione del battesimo è ascritto alla Chiesa latina il figlio dei genitori, che ad essa appartengono o, se uno dei due non appartiene ad essa, ambedue i genitori di comune accordo abbiano optato che la prole fosse battezzata nella Chiesa latina; che, se manca il comune accordo, è ascritto alla Chiesa sui iuris, cui appartiene il padre.
§2 Se poi soltanto uno dei genitori è cattolico, è ascritto alla Chiesa alla quale il genitore cattolico appartiene.
§3 Qualsiasi battezzando che abbia compiuto quattordici anni di età, può liberamente scegliere di essere battezzato nella Chiesa latina o in un'altra Chiesa sui iuris; nel qual caso, egli appartiene a quella Chiesa che avrà scelto.
Art. 2. Il can. 112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§l. Dopo aver ricevuto il battesimo, sono ascritti a un'altra Chiesa sui iuris:
1° chi ne abbia ottenuto la licenza da parte della Sede Apostolica;
2° il coniuge che, nel celebrare il matrimonio o durante il medesimo, abbia dichiarato di voler passare alla Chiesa sui iuris dell'altro coniuge; sciolto però il matrimonio, può ritornare liberamente alla Chiesa latina;
3° i figli di quelli, di cui nei nn. 1 e 2, prima del compimento dei quattordici anni di età e parimenti, nel matrimonio misto, i figli della parte cattolica, che sia passata legittimamente a un'altra Chiesa sui iuris; raggiunta però questa età, i medesimi possono ritornare alla Chiesa latina.
§2. L'usanza, anche se a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l'ascrizione alla medesima Chiesa.
§3. Ogni passaggio ad altra Chiesa sui iuris ha valore dal momento della dichiarazione fatta alla presenza dell'Ordinario del luogo della medesima Chiesa o del parroco proprio oppure del sacerdote delegato da uno di essi e di due testimoni, a meno che un rescritto della Sede Apostolica non disponga diversamente; e si annoti nel libro dei battezzati.
Art. 3. Il paragrafo secondo del can. 535 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§2. Nel libro dei battezzati si annoti anche l'ascrizione a una Chiesa sui iuris o il passaggio ad altra Chiesa, nonché la confermazione e tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio, salvo il disposto del can. 1133, all'adozione, all'ordine sacro e alla professione perpetua emessa in un istituto religioso; tali annotazioni vengano sempre riportate nei certificati di battesimo.
Art. 4. Il secondo capoverso del primo paragrafo del can. 868 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. 2° che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica fermo restando il §3; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.
Art. 5. Il can. 868 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Il bambino di cristiani non cattolici è lecitamente battezzato, se i genitori o almeno uno di essi o colui che tiene legittimamente il loro posto lo chiedono e se agli stessi sia impossibile, fisicamente o moralmente, accedere al proprio ministro.
Art. 6. Il can. 1108 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Solo il sacerdote assiste validamente al matrimonio tra due parti orientali o tra una parte latina e una parte orientale cattolica o non cattolica.
Art. 7. Il can. 1109 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
L'Ordinario del luogo e il parroco, eccetto che con sentenza o decreto siano stati scomunicati o interdetti o sospesi dall'ufficio oppure dichiarati tali, in forza dell'ufficio assistono validamente, entro i confini del proprio territorio, ai matrimoni non solo dei sudditi, ma anche dei non sudditi, purché almeno una delle due parti sia ascritta alla Chiesa latina.
Art. 8. Il primo paragrafo del can. 1111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. L'Ordinario del luogo e il parroco, fintanto che esercitano validamente l'ufficio, possono delegare a sacerdoti e diaconi la facoltà anche generale di assistere ai matrimoni entro i confini del proprio territorio, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 9. Il primo paragrafo del can. 1112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 10. Il can. 1116 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. In aggiunta a quanto stabilito dal § 1, nn. 1 e 2, l'Ordinario del luogo può conferire a qualunque sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli cristiani delle Chiese orientali che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica se spontaneamente lo chiedano, e purché nulla osti alla valida e lecita celebrazione del matrimonio. Il medesimo sacerdote, tuttavia con la necessaria prudenza, informi della cosa l'autorità competente della Chiesa non cattolica interessata.
Art. 11. Il primo paragrafo del can. 1127 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Relativamente alla forma da usare nel matrimonio misto, si osservino le disposizioni del can. 1108; se tuttavia la parte cattolica contrae matrimonio con una parte non cattolica di rito orientale, l'osservanza della forma canonica della celebrazione è necessaria solo per la liceità; per la validità, invece, si richiede l'intervento di un sacerdote, salvo quant'altro è da osservarsi a norma del diritto.
Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 31 maggio dell’anno 2016, quarto del Nostro Pontificato.
FRANCISCUS PP.

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LETTERA APOSTOLICA 
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
DEL SOMMO PONTEFICE 
FRANCESCO
CON LA QUALE VENGONO MUTATE
ALCUNE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

A motivo della costante sollecitudine per la concordanza tra i Codici, mi sono reso conto di alcuni punti non in perfetta armonia tra le norme del Codice di Diritto Canonico e quelle del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
I due Codici possiedono, da una parte, norme comuni, e, dall’altra, peculiarità proprie, che li rendono vicendevolmente autonomi. È tuttavia necessario che anche nelle norme peculiari vi sia sufficiente concordanza. Infatti le discrepanze inciderebbero negativamente sulla prassi pastorale, specialmente nei casi in cui devono essere regolati rapporti tra soggetti appartenenti rispettivamente alla Chiesa latina e a una Chiesa orientale.
Ciò si verifica in modo particolare ai nostri giorni, nei quali la mobilità della popolazione ha determinato la presenza di un notevole numero di fedeli orientali in territori latini. Questa nuova situazione genera molteplici questioni pastorali e giuridiche, le quali richiedono di essere risolte con norme appropriate. Occorre ricordare che i fedeli orientali hanno l’obbligo di osservare il proprio rito ovunque essi si trovino (cfr CCEO can. 40 § 3; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Orientalium Ecclesiarum, 6) e, di conseguenza, l’autorità ecclesiastica competente ha la grave responsabilità di offrire loro i mezzi adeguati perché possano adempiere tale obbligo (cfr CCEO can. 193 § 1; CIC can. 383 §§ 1-2; Esort. ap. postsin. Pastores gregis, 72). L’armonizzazione normativa è certamente uno dei mezzi che gioverà a promuovere lo sviluppo dei venerabili riti orientali (cfr CCEO can. 39), permettendo alle Chiese sui iuris di agire pastoralmente nel modo più efficace.
Bisogna tuttavia tenere presente la necessità di riconoscere le particolarità disciplinari del contesto territoriale in cui avvengono i rapporti inter-ecclesiali. Nell’Occidente, prevalentemente latino, occorre trovare un giusto equilibrio tra la tutela del Diritto proprio della minoranza orientale e il rispetto della storica tradizione canonica della maggioranza latina, in modo da evitare indebite interferenze e conflitti e promuovere la proficua collaborazione tra tutte le comunità cattoliche presenti in un dato territorio.
Un ulteriore motivo per integrare la normativa del CIC con esplicite disposizioni parallele a quelle esistenti nel CCEO è l’esigenza di meglio determinare i rapporti con i fedeli appartenenti alle Chiese orientali non cattoliche, ora presenti in numero più rilevante nei territori latini.
Si deve infine rilevare che anche la dottrina canonica ha fatto notare alcune discrepanze tra i due Codici, indicando, con sostanziale convergenza, quali fossero i punti problematici e come renderli concordi.
L’obiettivo delle norme introdotte con il presente Motu Proprio è quello di raggiungere una disciplina concorde che offra certezza nel modo di agire pastorale nei casi concreti.
Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, per mezzo di una Commissione di esperti in Diritto canonico orientale e latino, ha identificato le questioni principalmente bisognose di adeguamento normativo, elaborando un testo inviato a una trentina di Consultori ed esperti in tutto il mondo, nonché alle Autorità degli Ordinariati latini per gli orientali. Dopo il vaglio delle osservazioni pervenute, la Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha approvato un nuovo testo.
Tutto ciò considerato, dispongo ora quanto segue:
Art. 1. Il can. 111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§1 Con la ricezione del battesimo è ascritto alla Chiesa latina il figlio dei genitori, che ad essa appartengono o, se uno dei due non appartiene ad essa, ambedue i genitori di comune accordo abbiano optato che la prole fosse battezzata nella Chiesa latina; che, se manca il comune accordo, è ascritto alla Chiesa sui iuris, cui appartiene il padre.
§2 Se poi soltanto uno dei genitori è cattolico, è ascritto alla Chiesa alla quale il genitore cattolico appartiene.
§3 Qualsiasi battezzando che abbia compiuto quattordici anni di età, può liberamente scegliere di essere battezzato nella Chiesa latina o in un'altra Chiesa sui iuris; nel qual caso, egli appartiene a quella Chiesa che avrà scelto.
Art. 2. Il can. 112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§l. Dopo aver ricevuto il battesimo, sono ascritti a un'altra Chiesa sui iuris:
1° chi ne abbia ottenuto la licenza da parte della Sede Apostolica;
2° il coniuge che, nel celebrare il matrimonio o durante il medesimo, abbia dichiarato di voler passare alla Chiesa sui iuris dell'altro coniuge; sciolto però il matrimonio, può ritornare liberamente alla Chiesa latina;
3° i figli di quelli, di cui nei nn. 1 e 2, prima del compimento dei quattordici anni di età e parimenti, nel matrimonio misto, i figli della parte cattolica, che sia passata legittimamente a un'altra Chiesa sui iuris; raggiunta però questa età, i medesimi possono ritornare alla Chiesa latina.
§2. L'usanza, anche se a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l'ascrizione alla medesima Chiesa.
§3. Ogni passaggio ad altra Chiesa sui iuris ha valore dal momento della dichiarazione fatta alla presenza dell'Ordinario del luogo della medesima Chiesa o del parroco proprio oppure del sacerdote delegato da uno di essi e di due testimoni, a meno che un rescritto della Sede Apostolica non disponga diversamente; e si annoti nel libro dei battezzati.
Art. 3. Il paragrafo secondo del can. 535 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§2. Nel libro dei battezzati si annoti anche l'ascrizione a una Chiesa sui iuris o il passaggio ad altra Chiesa, nonché la confermazione e tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio, salvo il disposto del can. 1133, all'adozione, all'ordine sacro e alla professione perpetua emessa in un istituto religioso; tali annotazioni vengano sempre riportate nei certificati di battesimo.
Art. 4. Il secondo capoverso del primo paragrafo del can. 868 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. 2° che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica fermo restando il §3; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.
Art. 5. Il can. 868 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Il bambino di cristiani non cattolici è lecitamente battezzato, se i genitori o almeno uno di essi o colui che tiene legittimamente il loro posto lo chiedono e se agli stessi sia impossibile, fisicamente o moralmente, accedere al proprio ministro.
Art. 6. Il can. 1108 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Solo il sacerdote assiste validamente al matrimonio tra due parti orientali o tra una parte latina e una parte orientale cattolica o non cattolica.
Art. 7. Il can. 1109 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
L'Ordinario del luogo e il parroco, eccetto che con sentenza o decreto siano stati scomunicati o interdetti o sospesi dall'ufficio oppure dichiarati tali, in forza dell'ufficio assistono validamente, entro i confini del proprio territorio, ai matrimoni non solo dei sudditi, ma anche dei non sudditi, purché almeno una delle due parti sia ascritta alla Chiesa latina.
Art. 8. Il primo paragrafo del can. 1111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. L'Ordinario del luogo e il parroco, fintanto che esercitano validamente l'ufficio, possono delegare a sacerdoti e diaconi la facoltà anche generale di assistere ai matrimoni entro i confini del proprio territorio, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 9. Il primo paragrafo del can. 1112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 10. Il can. 1116 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. In aggiunta a quanto stabilito dal § 1, nn. 1 e 2, l'Ordinario del luogo può conferire a qualunque sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli cristiani delle Chiese orientali che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica se spontaneamente lo chiedano, e purché nulla osti alla valida e lecita celebrazione del matrimonio. Il medesimo sacerdote, tuttavia con la necessaria prudenza, informi della cosa l'autorità competente della Chiesa non cattolica interessata.
Art. 11. Il primo paragrafo del can. 1127 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Relativamente alla forma da usare nel matrimonio misto, si osservino le disposizioni del can. 1108; se tuttavia la parte cattolica contrae matrimonio con una parte non cattolica di rito orientale, l'osservanza della forma canonica della celebrazione è necessaria solo per la liceità; per la validità, invece, si richiede l'intervento di un sacerdote, salvo quant'altro è da osservarsi a norma del diritto.
Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 31 maggio dell’anno 2016, quarto del Nostro Pontificato.
FRANCISCUS PP.