Il processo
Il Diritto Canonico stabilisce che «le cause matrimoniali dei battezzati spettano, per diritto proprio, al giudice ecclesiastico» (can 1671). Il processo canonico ha l’unico scopo di accertare la nullità di un matrimonio canonico.
Nell’istruzione Dignitas connubii dell’8 febbraio 2005 si attesta che è prassi tradizionale della Chiesa sottomettere necessariamente la questione sulla validità o nullità del matrimonio dei fedeli a un processo veramente giudiziario.
Con tale procedimento giuridico la Chiesa tutela la dignità del matrimonio, «che è immagine e partecipazione dell’alleanza d’amore del Cristo e della Chiesa. Tale dignità viene difesa e favorita dallo splendore della verità e dalla equità della giustizia. Anche in materia giuridica, infatti, la verità riveste un valore incommensurabile. Il giudizio di nullità deve rispondere a questo requisito. Per questo esso si configura, oltre che come ministero di carità pastorale, soprattutto come un servizio alla verità. È questo lo spirito che informa l’azione dei Tribunali ecclesiastici e di conseguenza dei suoi giudici. Il ministerium iustitiae è un vero e proprio ministerium veritatis, perchè tende primariamente alla salvezza dell'anima di chi ha bisogno di questi tribunali»[1].
In una allocuzione del 1980 alla Rota Romana il santo padre Giovanni Paolo II illustrava ampiamente il fermo e radicale ancoraggio alla verità di ogni processo matrimoniale: “In tutti i processi ecclesiastici la verità deve essere sempre, dall’inizio fino alla sentenza, fondamento, madre e legge della giustizia […]. Fine immediato [dei processi di nullità del matrimonio] è di accertare l’esistenza o meno dei fatti che, per legge naturale, divina o ecclesiastica, invalidano il matrimonio, cosicché si possa giungere all’emanazione di una sentenza vera e giusta circa l’asserita non esistenza del vincolo coniugale. Il giudice canonico deve perciò stabilire se quello celebrato è stato un vero matrimonio. Egli è, quindi, legato dalla verità, che cerca di indagare con impegno, umiltà e carità. E questa verità "renderà liberi" coloro che si rivolgono alla Chiesa, angosciati da situazioni dolorose e, soprattutto, dal dubbio circa l’esistenza o meno di quella realtà dinamica e coinvolgente tutta la personalità di due esseri, che è il vincolo matrimoniale. Per limitare al massimo i margini di errore nell’adempimento di un servizio così prezioso e delicato qual è quello da voi svolto, la Chiesa ha elaborato una procedura che, nell’intento di accertare la verità oggettiva, da una parte assicuri le maggiori garanzie alla persona nel sostenere le proprie ragioni e, dall’altra, rispetti coerentemente il comando divino: "Quod Deus coniunxit, homo non separet”»[2].
Nella Dignitas connubii si stabilisce che «il giudice esorti i coniugi perché, posposto ogni personale desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità e in spirito di carità, all’accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla natura stessa della causa matrimoniale» (65, § 2).
Il procedimento canonico per la nullità del matrimonio può essere avviato solamente dai coniugi. Chi introduce la causa per ottenere la dichiarazione di nullità del proprio matrimonio è chiamato parte attrice. Essa dovrà essere rappresentata da un avvocato.
La parte convenuta, ossia l'altro coniuge, una volta citato in giudizio, potrà opporsi agli assunti dell’attore, sia deducendo in coincidenza con le sue pretese, sia rimando inattivo di fronte alla citazione ricevuta. In tal caso assumerà lo status processuale di parte «assente» e il processo proseguirà comunque anche senza di lui. La parte convenuta può avvalersi dell'assistenza di un proprio avvocato da scegliersi fra quelli abilitati a patrocinare presso il tribunale ecclesiastico di competenza. La parte convenuta potrà decidere di nominarsi un avvocato in qualunque momento del procedimento.
Se la parte convenuta intenderà avvalersi di un proprio avvocato, dovrà provvedere alle spese di difesa e a contribuire alle spese anche di processo salvo non dimostri al tribunale di non avere sufficienti possibilità economiche e chieda quindi una difesa d'ufficio.
Importanza degli atti istruttori
Tutti gli atti del giudizio ecclesiastico, dal libello alle scritture di difesa, possono e debbono essere fonte di verità; ma in modo speciale debbono esserlo gli «atti della causa» e, tra questi, gli «atti istruttori», poiché l’istruttoria ha come fine specifico quello di raccogliere le prove sulla verità del fatto asserito, affinché il giudice possa, su questo fondamento, pronunziare una sentenza giusta.
A questo scopo e dietro citazione del Giudice compariranno, per essere interrogati, le parti, i testi ed eventualmente i periti. Il giuramento di dire la verità, che viene richiesto a tutte queste persone, sta in perfetta coerenza con la finalità dell’istruttoria: non si tratta di creare un evento che non è mai esistito, ma di mettere in evidenza e far valere un fatto verificatosi nel passato e perdurante forse ancora nel presente. Certamente ognuna di queste persone dirà la «sua verità», che sarà normalmente la verità oggettiva o una parte di essa, spesso considerata da diversi punti di vista, colorata con le tinte del proprio temperamento, forse con qualche distorsione oppure mescolata con l’errore; ma in ogni caso tutte dovranno agire lentamente, senza tradire né la verità che credono sia oggettiva né la propria coscienza.
Il «libello»
Chi introduce (parte attrice) la causa per ottenere la dichiarazione di nullità del proprio matrimonio deve presentare, attraverso un avvocato un esposto — appunto il libello — al tribunale competente, indicando, almeno per sommi capi, i fatti e le prove che possono dimostrare che quel matrimonio va dichiarato nullo.
Nell’istruzione Dignitas connubii si legge a riguardo:
«Il libello con cui viene introdotta la causa deve:
1. indicare il tribunale davanti al quale la causa si introduce;
2. delimitare l’oggetto della causa, ossia indicare il matrimonio di cui si tratta, formulare la domanda di dichiarazione della nullità, proporre, anche se non necessariamente con parole tecnicamente precise, la ragione della domanda e cioè il capo o i capi di nullità per i quali il matrimonio è impugnato;
3. indicare almeno sommariamente su quali fatti e su quali mezzi di prova l’attore si basa per dimostrare ciò che si asserisce;
4. recare la firma dell’attore o del suo procuratore, con l’indicazione del giorno, mese e anno, nonché del luogo in cui l’attore o il suo procuratore abitano o in cui dichiarano di risiedere ai fini della notifica degli atti;
5. indicare il domicilio o il quasi-domicilio dell’altro coniuge (cf. CIC, can. 1054, § 2);
5. al libello dev’essere acclusa una copia autenticata dell’atto di celebrazione del matrimonio, nonché, se del caso, la documentazione concernente lo stato civile delle parti»[3].
Una volta redatto, il libello viene depositato presso il tribunale competente il cui «vicario giudiziale» affiderà la causa ad un giudice.
Spetta al giudice esaminare[4]:
— la competenza del tribunale atto a giudicare quella determinata causa,
— la capacità legittima dell’attore di stare in giudizio,
— l’esistenza di un fondamento giuridico su cui la causa è posta (c. d. fumus boni iuris)[5]).
Una volta riscontrati tutti gli elementi, il giudice ammette con decreto il libello presentato e provvede, tramite il tribunale stesso, a notificare il decreto di citazione alla parte convenuta (cf. CIC, can. 1512).
La concordanza del dubbio
Ammesso il libello, il presidente del tribunale cita l'avvocato di parte attrice, la parte convenuta e il difensore del vincolo per la concordanza del dubbio.
Per concordanza del dubbio s’intende una breve seduta allo scopo di «determinare per quale capo o quali capi viene impugnata la validità del vincolo coniugale» (cf. CIC, can 1677, § 3)[6]. In tale seduta la parte convenuta dichiarerà le sue intenzioni circa la causa e dovrà presentare l'elenco dei propri testi o i documenti che possano interessare la causa e chiedere al presidente tutte le informazioni di cui sente la necessità.
Questa udienza è fondamentale perché è in questa fase del processo che viene espressa e manifestata la domanda dell’attore per tutto il prosieguo del giudizio in merito al capo di nullità motivato. Infatti la sentenza finale dovrà tenere conto solo ed esclusivamente di quel capo di nullità presentato al momento della richiesta di dichiarare nullo il matrimonio. E ciò in virtù del principio della coincidenza tra il «chiesto» dalla parte e il «pronunciato» dal giudice.
La prova dei fatti
Tramite le prove si dimostrano al giudice i fatti dubbi o controversi che abbiano rilevanza nel processo. Il fine ultimo della prova è quello di riuscire ad accertare tali fatti in modo da formare nel giudice la necessaria convinzione e certezza prima di pronunciare la sentenza. Questa certezza generata dalla prova non è certezza fisica, tale da escludere la possibilità di errore, ma piuttosto è una «certezza morale», che esclude la possibilità di errore circa la verità dei fatti allegati in giudizio.
«L’onere di fornire le prove tocca a chi asserisce (CIC, can 1526, § 1)»[7].
Il primo mezzo di prova che il Codice di Diritto Canonico stabilisce consiste nelle:
— dichiarazioni processuali delle parti,
— interrogatorio delle parti,
— confessione delle parti,
— il giuramento,
— la prova documentale,
— la prova testimoniale,
— la prova periziale.
Dichiarazioni processuali delle parti
Per dichiarazioni processuali della parti[8] sono da intendersi tutti i pronunciamenti che nel corso del processo vengono rilasciate dalle parti sia nel libello sia nell’udienza di concordanza del dubbio. Non tutte le dichiarazioni assumono valore strettamente probatorio, anche se alcune di esse, opportunamente confrontate con le altre risultanze istruttorie, costituiranno un valido elemento per contribuire a formare la convinzione del giudice sul merito della controversia. Nella Dignitatis connubii si auspica «perché venga accertata più facilmente la verità e riceva miglior tutela il diritto di difesa, è quanto mai opportuno che entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità di matrimonio»[9].
Interrogatorio delle parti
«Il giudice per scoprire più adeguatamente la verità può sempre interrogare le parti; anzi lo deve fare su istanza di una parte o per provare un fatto sul quale è di pubblico interesse togliere ogni dubbio» (CIC, can. 1530).
Le dichiarazioni delle parti, utilizzate come mezzo di prova, sono tutte le risposte rilasciate dai coniugi durante il loro interrogatorio. Questa fase ben definita del procedimento tende a chiarire i fatti dubbi emersi nella controversia. Ovviamente «la parte legittimamente interrogata deve rispondere e dire integralmente la verità» (CIC, can. 1531, 1).
Confessione delle parti
Per confessione delle parti s’intende «l'asserzione di un qualche fatto circa la materia stessa del giudizio, resa per iscritto o oralmente da una parte contro di sé avanti al giudice competente, sia spontaneamente sia a domanda del giudice, è una confessione giudiziale» (CIC, can. 1535).
Nella Dignitas connubi riferendosi a quanto detto sopra si ricorda che «nelle cause di nullità di matrimonio s’intende per confessione giudiziale la dichiarazione con cui una parte, oralmente o per iscritto, afferma davanti al giudice competente, sia di sua spontanea volontà che a domanda del giudice, un fatto suo proprio contrario alla validità del matrimonio» [10].
Il Codice di Diritto Canonico considera come valida solo la confessione avvenuta davanti al giudice. Infatti «spetta al giudice, soppesate tutte le circostanze, decidere qual valore dare alla confessione extragiudiziale prodotta in giudizio» (CIC, can. 1537).
Il giuramento
È una dichiarazione resa dalla parte esclusivamente avanti al giudice, per rafforzare e garantire la verità delle proprie dichiarazioni. Ricorda al riguardo il Diritto Canonico: «Nei casi in cui è in causa il bene pubblico, il giudice faccia fare alle parti il giuramento di dire la verità o almeno di avere detto la verità, a meno che una causa grave non suggerisca altro; negli altri casi può farlo a sua prudente discrezione» (can. 1532).
La prova documentale
«In ogni genere di giudizio è ammessa la prova per via di documenti sia pubblici sia privati» (CIC, can. 1539). Trattasi di prove che vengono presentate in giudizio costituite da documenti o strumenti scritti oppure da registrazioni sonore o visive dirette a provare la verità dell’asserzione[11]. Al riguardo il Codice specifica: «I documenti non hanno forza probante in giudizio, se non siano originali o esibiti in esemplare autentico e consegnati alla cancelleria del tribunale, perché possano essere esaminati dal giudice e dalla parte avversa» (can. 1544).
La prova testimoniale
«In qualsiasi causa è ammessa la prova tramite testimoni, sotto la direzione del giudice» (CIC, can. 1547).
Si tratta della prova cui maggiormente si ricorre nei processi di nullità del matrimonio e consiste in una dichiarazione resa da parte di persona estranea ai fatti ma a conoscenza di essi, accaduti prima della causa[12]. Fatti che vengono esposti in qualità di testimone al giudice. La prova testimoniale costituisce uno dei mezzi privilegiati nelle cause di nullità o meno del matrimonio.
I testimoni solitamente citati sono i parenti più stretti dei coniugi (genitori, fratelli e sorelle), gli amici, i colleghi di lavoro. In alcuni casi sono invitati a rendere testimonianza anche i sacerdoti che in qualche modo sono stati a conoscenza del fatto in processo.
Il Diritto Canonico indulge con dovizia di particolari e con specifiche sottolineature su:
— chi può essere teste e sulla capacità testimoniale,
— sulla presentazione e sulla esclusione dei testimoni,
— sulle modalità dell’esame dei singoli testi,
— sul valore delle testimonianze.
La prova periziale
«Ci si deve servire dell'opera dei periti ogniqualvolta, secondo il disposto del diritto o del giudice, è necessario il loro esame o il parere, fondato sulle regole della pratica e della scienza, per provare qualche fatto o per conoscere la vera natura di una qualche cosa» (CIC, can. 1574). La perizia è la valutazione di un fatto, operata da persone professionalmente competenti in materia[13]. Nell’istruzione Dignitas connubii è ribadito che «all’incarico peritale siano deputati coloro che non soltanto possiedono un’abilitazione professionale, ma sono anche ben qualificati per la loro scienza ed esperienza, e godano di buona reputazione per onestà e religiosità»[14]. La perizia deve indicare con chiarezza con quali documenti o in quali altri modi idonei si sia accertata l'identità delle persone, delle cose o dei luoghi, secondo quale metodo e criterio si sia proceduto e, soprattutto su quali argomenti si fondino le conclusioni (cf. CIC, can. 1578, § 2).
Certamente il ricorso alle prove periziali soprattutto di natura psicologica o psichica deve essere sempre ben considerato. Infatti, «è nota la difficoltà che nel campo delle scienze psicologiche e psichiatriche gli stessi esperti incontrano nel definire, in modo soddisfacente per tutti, il concetto di normalità. In ogni caso, qualunque sia la definizione data dalle scienze psicologiche e psichiatriche, essa deve sempre essere verificata alla luce dei concetti dell’antropologia cristiana, che sono sottesi alla scienza canonica»[15].
Nel contesto di un procedimento di dichiarazione di nullità del matrimonio in quanto sacramento, occorre sempre aver presente che l’antropologia cristiana considera la persona umana in tutte le sue dimensioni: quella terrena e quella eterna; quella naturale e quella trascendente.
Nell’allocuzione già citata papa Giovanni Paolo II ricorda che «mentre per lo psicologo o psichiatra ogni forma di psicopatologia può sembrare contraria alla normalità, per il canonista, che si ispira alla suddetta visione integrale della persona il concetto di normalità e cioè della normale condizione umana in questo mondo, comprende anche moderate forme di difficoltà psicologica, con la conseguente chiamata a camminare secondo lo Spirito anche fra le tribolazioni e a costo di rinunce e sacrifici».
Conclusione della causa
Terminata la fase istruttoria e ogni nuova indagine eventualmente richiesta, quando le parti dichiarano di non avere null’altro da riferire o provare, ovvero è trascorso il termine fissato dal giudice per la produzione di ulteriori prove, si procede alla conclusione in causa.
Il tribunale emetterà il «decreto di conclusione della causa». Da questo momento non sarà ammessa la produzione di nessun altra prova, a meno che non vi siano «gravi motivi con sicurezza di evitare una frode».
L'avvocato o gli avvocati e il difensore del vincolo dovranno studiare gli atti e mettere in scritto tutte le motivazioni a favore o contro la nullità del matrimonio in questione che depositeranno in Cancelleria del tribunale.
Spetta al «difensore del vincolo» (figura istituzionale del tribunale chiamata a dimostrare la validità del vincolo matrimoniale) elaborare delle memorie o osservazioni (animadversiones) a favore del vincolo matrimoniale.
Il presidente fisserà il giorno e l'ora in cui i tre giudici si riuniranno per decidere in seduta di voto la causa di nullità sulla base di tutti gli atti processuali, delle difese delle parti e delle osservazioni del difensore del vincolo. Il dispositivo se consti o meno la nullità del matrimonio per il capo invocato all’inizio del processo canonico verrà votato dai giudici a maggioranza assoluta.
Sul delicato momento in cui i giudici pronunciano una sentenza merita riferire il pensiero di papa Giovanni Paolo II a riguardo. Il Pontefice ricorda che tale atto può avere ripercussioni molto profonde nella vita e nel destino delle persone: «Voi avete sempre dinanzi agli occhi due ordini di fattori, di diversa natura, che troveranno però nel vostro pronunciamento l’ideale e sapiente congiunzione: il factum e lo ius. I fatti, che sono stati accuratamente raccolti nella fase istruttoria e che voi dovete coscienziosamente ponderare e scrutare, arrivando, se fosse necessario, fino alle recondite profondità della psiche umana. E lo ius, che vi dà la misura ideale o criteri di discernimento da applicare nella valutazione dei fatti. Questo ius che vi guiderà, offrendovi parametri sicuri, è il nuovo Codice di Diritto Canonico. Voi dovete possederlo, non solo nel peculiare settore processuale e matrimoniale, che vi sono tanto familiari ma nel suo insieme, di modo che possiate averne una conoscenza completa, da magistrati, cioè da maestri della legge quali siete.
Questa conoscenza suppone uno studio assiduo, scientifico, approfondito, che non si riduca a rilevare le eventuali variazioni rispetto alla legge anteriore, o a stabilirne il senso puramente letterale o filologico, ma che riesca a considerare anche la mens legislatoris, e la ratio legis, così da darvi una visione globale che vi permetta di penetrare lo spirito della nuova legge. Perché di questo in sostanza si tratta: il Codice è una nuova legge e va valutato primordialmente nell’ottica del Concilio Vaticano II, al quale ha inteso conformarsi pienamente»[16].
Nella istruzione Dignitas connubii il Titolo X è dedicato a «Le decisioni del giudice» e si afferma: «Perché sia dichiarata la nullità di matrimonio si richiede nell’animo del giudice la certezza morale di tale nullità (cf. CIC, can 1068, § 1). Per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente di errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario. Il giudice deve attingere questa certezza dagli atti e da quanto è stato dimostrato (CIC, can 1608, § 2). Il giudice deve poi valutare le prove secondo la sua coscienza, ferme restando le disposizioni della legge sull’efficacia di talune prove (CIC, can. 1608, § 3)»[17].
A decisione avvenuta, il compito di redigere la sentenza spetta al ponente o al relatore o a un altro giudice di turno (cf. CIC, can 1610, § 2) e deve essere sottoposta all’approvazione di ciascun giudice.
Infine, la sentenza dovrà essere pubblicata non oltre un mese dal giorno in cui la causa è stata decisa, a meno che una grave ragione non suggerisca diversamente[18]
«La sentenza, senza eccedere in concisione o in prolissità deve essere chiara nell’esposizione delle motivazioni sia in diritto che in fatto ed essere fondata sugli atti e su quanto è stato dimostrato, in modo da far comprendere attraverso quale percorso logico i giudici siano giunti alla decisione e in qual modo abbiano applicato la legge alle circostanze di fatto.
La pubblicazione, ossia notifica della sentenza, avviene o consegnandone un esemplare alle parti o ai loro procuratori, oppure trasmettendo loro l’esemplare a norma dell’art. 130 (cf. CIC, can 1615)»[19].
Contro una sentenza affermativa la parte convenuta o il difensore del vincolo potranno eventualmente appellare, entro quindici giorni dalla notifica, al Tribunale Superiore di Appello.
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NOTE
[1] Giovanni XXIII, Allocuzione alla Rota Romana, 13 dicembre 1961, 3.
[2] Idem, Allocuzione agli Avvocati e agli Officiali del Tribunale della Rota Romana, 4 febbraio 1980.
[3] Cit., art. 116, § 1 e.
[4] Ivi, art. 119, § 1.
[5] Per fumus s’intende la percezione di probabilità circa la fondatezza della domanda, basata su elementi di diritto e di fatto.
[6] Dignitas connubii, cit., art. 135, § 3.
[7] Ivi, art. 156, § 1.
[8] Ivi, artt. 177-182.
[9] Ivi, art. 95, § 1.
[10] Ivi, art. 179 § 2.
[11] Ivi, artt. 183-192.
[12] Ivi, artt. 193-202.
[13] Ivi, artt. 203-213.
[14] Ivi, art. 205, § 1.
[15] Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Avvocati e agli Officiali del Tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
[16] Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana, 26 gennaio 1984.
[17] Cit., art. 247, § 1-4.
[18] Ivi, art. 249, §§1-5.
[19] Ivi, artt. 254 e 258, §.
[2] Idem, Allocuzione agli Avvocati e agli Officiali del Tribunale della Rota Romana, 4 febbraio 1980.
[3] Cit., art. 116, § 1 e.
[4] Ivi, art. 119, § 1.
[5] Per fumus s’intende la percezione di probabilità circa la fondatezza della domanda, basata su elementi di diritto e di fatto.
[6] Dignitas connubii, cit., art. 135, § 3.
[7] Ivi, art. 156, § 1.
[8] Ivi, artt. 177-182.
[9] Ivi, art. 95, § 1.
[10] Ivi, art. 179 § 2.
[11] Ivi, artt. 183-192.
[12] Ivi, artt. 193-202.
[13] Ivi, artt. 203-213.
[14] Ivi, art. 205, § 1.
[15] Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Avvocati e agli Officiali del Tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
[16] Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana, 26 gennaio 1984.
[17] Cit., art. 247, § 1-4.
[18] Ivi, art. 249, §§1-5.
[19] Ivi, artt. 254 e 258, §.